02 giugno 2009

Il mio primo C.I.R. all’Acquacheta


Non è un brutto modo di sentirsi, arrivare in una stanza, scambiare due parole con qualcuno, buttarsi su una sedia, seguire il ritmo della musica, fare un giro di danza, poi sparire senza rumore, assorbire il calore del forno come una lucertola, mentre altri che non conosci infornano la cena per tutti, sdraiarsi sull’erba a guardare le stelle intorno al fuoco alimentato da un pazzo nudo e simpatico, mentre un essere umano delizioso che viene dalla Patagonia parla nello stesso modo in cui suona e suona tutta la notte e te non sei più sicuro se stai sognando e quello che ti sembra di vedere non è un quadro di qualche visionario. Il suono del flauto di Pan riempie la notte senza luna, più ipnotiche del grande fuoco sono le montagne nere, il profilo aspro di carbone brilla della stessa luce fosforescente e fredda che emanano le stelle. La città è così lontana che l’arancione malato del cielo semplicemente non esiste e davvero non si può credere che qualche pescecane osi tagliare il crinale di quella stessa montagna per trasportare attraverso i boschi sacri e incontaminati quattordici enormi pale per la produzione di energia eolica. Che poi pianterà su quel carbone con grande stridio e saranno almeno cinque volte più alte degli alberi secolari intorno, svetteranno con la loro potenza ipnotica e il loro rumore sui boschi dell’Acquacheta.
Acqua silenziosa.
Per arrivare all’ecovillaggio si devono percorrere dieci chilometri di strada sterrata.
All’imbocco dell’ampio sentiero un cartello del comune di san Godenzo recita:


L’acqua scorre, silenziosa, tutto intorno. Adesso percepisco la bellezza di questo nome che meglio non poteva identificare un luogo di alberi imponenti e verdi di linfa abbondante, di felci, di ruscelli che declinano dolcemente senza fare rumore.
Quando il buio magico del bosco si apre sulle praterie bordate di ginestre, non riesci a vedere un paese, una casa, un traliccio, per quanto lontano guardi all’orizzonte.
Puoi assorbire un silenzio così raro, così puro, la mancaza assoluta del sottofondo, traccia del nemico, che è anche rassicurante, è il nemico che si conosce e che l’educazione ci ha insegnato ad affrontare. Quante volte ho pedalato ad un metro dalle ruore di un tir, mai sono salita su un albero più alto di un olivo.
La lontananza dall’asfalto si fa quasi paurosa. Un camper vecchio, scassato , colorato, pieno di cose.
Sul prato accanto un uomo coi capelli che sono tutti un nodo e tanta barba grigia sorride, qualche bambino biondo, un bel visino di giovane donna straniera.
Ho di nuovo quasi paura di tutta questa natura e dei miei simili che ha intracciato a sè, ho paura di non essere accettata, di fare troppo rumore, di tornare a casa più sola di come sono partita, di perdere la speranza. Di non appartenere più a nessuno. Diversa da questi e dagli altri, selvatica, ma di bosco senza spine. Attraversiamo barriere che siamo autorizzati ad aprire, ci chiudiamo cancelli alle spalle. Seguiamo segnali, attraversiamo acqua immobile e limpidissima.
Un albero diverso sembra segnare l’ultima curva, un cavallo, un recinto, la casa.
Irrompere con gran fracasso di ferro, finalmente spengere il motore.
Scendere pieni di meraviglia scherzando su quanto lontano l’uomo possa scappare dal mondo, venire subito a sapere che per quanto lontano tu possa scappare, ti trovano sempre.
La pianura ha bisogno di energia, possibilmente un energia verde, per consumare oltre il picco del petrolio senza sensi di colpa, come succede da sempre.
L’impianto non deve disturbare il cliente, si farà ad un chilometro dal confine del Parco Naturale delle Foreste Casentinesi, dove gli abitanti non protesteranno per il rumore che appassisce ogni vita, potranno solo scappare, scapperanno cervi, lupi, cinghiali e gli uomini? Quei pochi che si sono rifugiati qui, che proteggono e curano la montagna, che per rispetto della natura hanno scelto di vivere semplicemente, usando pochissima energia fornita da pannelli solari?
Il Comune è d’accordo a trasformare in autostrade quelli che definiva Sentieri Sacri.
A trasformare “la valle di immenso valore paesaggistico oltrechè storico-culturale” in “zona industriale camionabile”.
Esiste un blog www.ariacheta.blogspot.com/ per approfondire e partecipare.
Si stanno raccogliendo firme, la popolazione locale è esigua e come spesso succede, insofferente alle richieste d’aiuto, capisco bene la paura di esporsi propria dei piccoli centri.
Leggete questo.
Se non sapete come passare una domenica, fateci un giro.
Vedrete qualcosa di unico, prima che sia distrutto.
Potrebbe venirvi voglia di lottare perché non accada.
Ricorderò tutti voi del mio primo C.I.R. , Daria, Simona, Jimi, Juan, Andrea Papà, Mario Cecchi,Giuseppe, Mattia, il suonatore del flauto di Pan, le ragazze che danzavano, il suonatore di fisarmonica, l’uomo felice dai capelli pieni di nodi, Susy, i signori del Monte Giovo, i pazzi nudi sotto la pioggia con quel freddo, il ragazzo di Milano, il signore che mi ha abbracciato e non ci avevo mai parlato, quello che mi ha schiacciato forte un piede nudo, intorno al fuoco e non ha fatto una piega, ha continuato a guardare le stelle.
Tutti sono importanti, nessuno è indispensabile, una gran bella sensazione, assomiglia molto alla libertà.
Scrivo i vostri nomi prima che se li porti via il vento.
Tiziana